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{{/_source.additionalInfo}}Il saggio, movendo dall’assunto che la circolazione giuridica di terre private gravate da usi civici (iura in re aliena) è differente dalla circolazione giuridica dei domini collettivi (iura in re propria), ferma l’attenzione sulla seconda, allo scopo di verificarne la ragionevolezza e la proporzionalità. Considerando che il fine dei iura in re propria è la tutela ambientale, ossia garantire a tutti i cives di trarre una certa utilità dal fondo, l’inalienabilità appare del tutto irragionevole e sproporzionata. Pecca per eccesso e per difetto: per eccesso, perché l’inalienabilità è un mezzo eccedente rispetto al fine; per difetto, perché non è neppure vero che l’inalienabilità consente, sempre, di conseguire il risultato. Si propone, quindi, di considerare i domini collettivi soggetti a un vincolo di destinazione di natura legale. In conseguenza, il bene sottoposto a vincolo di destinazione non dovrebbe considerarsi inalienabile, ma ammesso alla libera circolazione, con intesa che esso rimane, pur sempre, gravato dal vincolo.